Viaggio a Madrid
Le due valigie sono pronte e stanno in perfetta geometria appoggiate di fianco a me, all’aeroporto di Bologna. Vado a Madrid per un mese.
Anzi Madri(d), perché la d si sente appena tra gli abitanti della capitale spagnola. È metà giugno: qui l’estate arriva per convenzione al quarantesimo giorno di maggio. Passo il primo giorno studiando mappe di metro, bus e cartine itineranti. Mai Lonely Planet, troppo scontata. Decido di vedere quanto dista la mia casa dal centro e per centro intendo Puerta del Sol, il cuore pulsante, simbolo di una città in continuo movimento. Le vie che si diramano dalla balena di vetro sono sempre coperte da un tappeto di persone. Colori e visi si alternano in file di persone all’ora del tramonto, che arriva quasi un’ora dopo rispetto a noi: anche il sole si adatta agli orari spagnoli.
Una tranquillizzante sensazione di essere come a casa, pur stando seduta in mezzo a perfetti sconosciuti, al cine de verano, una delle tante rassegne di cinema estivo iniziata da poco. I film vengono proiettati nei solaresokupados, spazi vuoti di antiche abitazioni, cinti ai lati da altrettante mura di case. Tetti disegnati in aria, in mezzo a i limbi di vuoto e cunicoli di strade.
Le vie del barrio di Lavapiés sono un continuo di tetti e finestre di asimmetrica regolarità. Lì, le culture si intrecciano e si mescolano tra le vetrine sporche di tempo.
Una mattina, passeggiando, mi ritrovo all’interno di un orto urbano, dove un signore a testa china continua a lavorare una tavola di legno, spiegandomi che quello si chiama “Esta es una plaza”. Gli orti urbani sono spazi comunitari gestiti da gruppi autonomi di persone che si propongono di creare spazi ecosostenibili, dove le attività di sensibilizzazione sono benvenute. Questa rete è anche una preziosa risorsa di crescita sociale, dove la gente lavora per la gente.La parola d’ordine è sempre autogestione. Autogestione degli spazi di cui la gente si vuole riappropriare, strappando lembi di terra al ritmo frenetico della città.
Le scritte sui muri e gli immensi murales sulle pareti delle case, soggetti della metà delle mie foto: musei a cielo aperto, come anche le bancarelle del rastro, il mercato della domenica mattina, dove la gente come un enorme formicaio si snoda tra le vie, da calle Embajadores a Tirso de Molina, e richiami di vita si affacciano dietro colorati vestiti. Non meno vivi sono le case occupate ed i centri sociali, potenziali set per i fanatici della fotografia. Forse il più famoso è la Tabacalera, un centro sociale alla berlinese nel barrio di Lavapiés, quartiere dove lingue, colori, odori si mescolano e convivono tra stradine lunghe e strette.
Gli ultimi giorni della mia permanenza nella capitale madrilena li passo nel quartiere di Vallekas, dove la storia di movimenti sociali e lotte ha origini antiche. La fiesta della Karmela dura quattro giorni: finisce la domenica con la BatallaNaval, una vera guerra d’acqua nelle vie del barrio.
Continuo a sentire echi di strada tra le due valigie, nelle metropolitana alle sei di mattina che mi porta in aeroporto. È il 15 luglio.
Giulia Baldorilli
Leggi l’offerta: insegnare italiano a Madrid; Il coraggio e la bellezza di vivere a Madrid