L'omicidio di Melinao Licàn e la lotta dei Mapuche
I popoli originari versus governi latinoamericani. La situazione dei discendenti di chi abitava la terra prima dell’arrivo degli europei e alcuni governi della regione, compresi i cosiddetti progressisti, è tutt’altro che rose e fiori. Sempre sfavoriti dal punto di vista socioeconomico, nonostante ci siano diversi costituzioni che garantiscano sulla carta i loro diritti, sono ancor oggi vittima della repressione dello Stato. Uno dei Paesi dove più difficile è la situazione è il Cile, dove lo scorso 6 agosto è stato trovato morto il mapuche Rodrigo Melinao Licán. Il Cile che vive una transizione verso la democrazia difficile, nonostante i 23 anni di democrazia passati pressoché totalmente sotto governi socialisti e dove ancor oggi si mantiene in vigore una legge del governo di Augusto Pinochet come la Ley Antiterrorista, che viola il dirito degli accusati e contro la quale si è organizzata una raccolta di firme.
Per conoscere meglio la situazione in Cile, abbiamo contattato Luisa Costalbano, attivista italiana dell’associazione Il Cerchio, per la quale ha viaggiato quest’anno con lo scopo di vedere di persona quanto sta capitando. Attualmente, Il Cerchio collabora con l’associazione svedese CEDHPA Harald Edelstam, in un progetto di osservatori e difensori dei diritti umani presso i mapuche in Chile.
– Chi era Rodrigo Melinao e perché l’hanno ucciso?
Rodrigo Melinao Licán era un giovane mapuche di 26 anni trovato morto assassinato all’alba del 6 agosto in un campo, vicino alla sua comunità alla regione dell’Araucania, con due proiettili al petto sparati da vicino.
Rodrigo era stato appena condannato, a fine luglio, a 5 anni e un giorno per il reato di incendio forestale, e a 541 giorni per danni a due bus e un’autopompa, in un processo condotto dal Procuratore Luis Chamorro, in quelle zone chiamato “il procuratore antimapuche”, che secondo i comuneros altro non era che l’ennesimo montaggio ai danni delle comunità che sta attuando forme di “recupero produttivo” delle terre ancestrali. Per questa ragione Rodrigo aveva scelto la clandestinità, e nel frattempo il suo avvocato aveva presentato un ricorso di nullità per irregolarità processuali.
Per capire perchè è stato ucciso bisogna comprendere il contesto in cui questo omicidio è avvenuto.
I mapuche non hanno mai smesso di reclamare il proprio territorio, che era una Nazione indipendente. Queste terre furono cedute prima a coloni europei e latifondisti, e in tempi più recenti alle grandi multinazionali estrattive, tra cui quelle del legname, che hanno piantato distese impressionanti di monocolture di pini ed eucalipti, oltretutto mettendo in grave pericolo la biodiversità della zona.
– Ed oggi?
Dall’inizio degli anni ’90 le rivendicazioni indigene hanno ripreso forza, in particolare attuando il cosiddetto “recupero produttivo” delle terre, che consiste nell’occupare terreni che erano di proprietà delle comunità e ricominciare a seminarli. Un’altra forma di lotta è il sabotaggio delle imprese forestali, ad esempio dei mezzi come camion, ecc. I mapuche, per scelta, non fanno uso di violenza fisica verso le persone durante le loro azioni. Queste forme di lotta sono state attuate soprattutto nelle provincie di Malleco (regione dell’Araucania) e di Arauco (regione del Bìo Bìo).
In particolare, la zona compresa tra le municipalità di Ercilla e Collipulli è chiamata “la zona rossa del conflitto mapuche”, dove c’è un vero e proprio “conflitto a bassa intensità”, tra lo stato cileno e i suoi cittadini mapuche. Questo significa un altissimo grado di militarizzazione del territorio, continue incursioni con i mezzi dei vari corpi di polizia all’interno delle comunità, irruzioni armate nelle case, con la scusa di effettuare arresti o perquisizioni, uso di violenza, minacce, intimidazione, e infine le numerosissime denunce verso gli appartenenti alle comunità in lotta, con le accuse più disparate e largo utilizzo della prigione preventiva e delle leggi speciali di sicurezza. A questo si aggiungono le le violenze delle forze di sicurezza privata delle forestali e dei gruppi paramilitari.
È soprattutto importante capire che questo dispiegamento di forze serve, in definitiva, a proteggere gli interessi delle grandi imprese multinazionali, come la Forestal Bosque Cautín o la Bosques Arauco S.A.
Quindi Rodrigo è stato ucciso perchè partecipava attivamente al processo di recupero territoriale, perchè apparteneva ad una comunità in resistenza, che lotta contro le multinazionali e un sistema di sfruttamento capitalista.
– Quanto ha di eccezionale il suo omicidio?
L”’eccezionalità” di questo omicidio sta nel fatto che è avvenuto in una zona con una massiccia presenza militare, a meno di 100 metri da una strada sulla quale transitano giorno e notte mezzi militari ad intervalli di mezz’ora, non lontano da un’istallazione militare delle Forze Speciali che controlla la via d’accesso alle comunità. Come è possibile quindi che le forze di polizia non abbiano visto nulla? Tuttavia, il ministro degli interni Chadwick e i vertici dell’arma dei carabinieri si sono affrettati a negare qualsiasi coivolgimento delle forze dell’ordine, mentre ancora stanno avendo luogo le indagini, affidate a Chamorro, accusatore di Rodrigo Melinao durante i processi.
Ma questo omicidio non è eccezionale. Sono diversi i mapuche giovani e meno giovani assassinati o scomparsi dalla fine della dittatura. Nella stessa zona dove è stato trovato Rodrigo morirono Alex Lemun nel 2002, ucciso a soli 17 anni con un proiettile alla testa esploso da un carabiniere, e Jaime Mendoza Collio di 24 anni, nel 2009, a cui un altro carabiniere sparò alla schiena.
Per questi motivi, e per le ragioni dette sopra, la famiglia accusa direttamente le forze dell’ordine come responsabili dell’omicidio.
– Qual è la situazione dei prigionieri politici mapuche nelle carceri?
Attualmente ci sono circa una trentina di detenuti politici mapuche, rinchiusi in diversi carceri delle regioni del sud, alcuni in esecuzione della pena, altri in attesa di processo, oltre a coloro che si trovano fuori del carcere con misure cautelari domiciliari.
Sono considerati prigionieri politici coloro che si trovano detenuti (o sotto processo) a causa della propria partecipazione attiva alla lotta in difesa dei diritti, del territorio, della sopravvivenza del popolo mapuche.
A questi prigionieri, nei processi, vengono spesso applicate le leggi speciali di sicurezza, come la ley antiterrorista.
– Perché continua ancor oggi la ley antiterrorista?
Era stata promulgata nel 1984, quindi in piena dittatura, con lo scopo di colpire gli avversari politici del regime. Durante i vari governi della concertaciòn questa legge, lungi dall’essere eliminata, fu “riformata”, e utilizzata per colpire il “nemico interno dello stato”, vale a dire il popolo mapuche.
In questi casi l’accusa è di “delitto terrorista” o anche di “associazione illecita terrorista”. Il fatto è che questa legge consente l’utilizzo di testimoni protetti e a volto coperto durante i processi, mentre nega agli avvocati della difesa l’accesso ad alcune informazioni, oltre a prevedere pene più alte per gli stessi crimini, fino alla possibilità del processo militare.
La Commissione Interamericana per i Diritti Umani, al termine del ricorso presentato alcuni mapuche condannati nel processo Poluco Pidenco, ha dichiarato il mese scorso che lo stato del Chile ha violato, con l’utilizzo della legge antiterrorista, il diritto alla non discriminazione, all’uguaglianza davanti alla legge, i principi di legalità, di responsabilità penale e di presunzione di innocenza, il diritto alla difesa e ad essere giudicati davanti a un giudice imparziale.
Tra la fine di luglio e l’inizio di agosto si è svolta la visita in Chile del relatore speciale dell’ONU Ben Emmerson, che ha stilato una relazione molto dura sulle soluzioni adottate dallo stato cileno per affrontare il “conflitto mapuche”, nella quale raccomanda all’esecutivo di sospendere l’applicazione di questa legge, il cui uso, ha precisato, discrimina i mapuche con la sua applicazione “confusa e arbitraria che finisce con il generare un vera ingiustizia”, e termina dicendo che l’Araucanía e il Bío Bío si trovano in una situazione che può portare in tempi brevi ad uno stato di disordini e violenza, perché la polizia cilena fa sistematicamente un uso eccessivo della forza.
Nonostante tutto questo, il governo continua a difendere l’uso di questa legge e a invocarne l’applicazione nei prossimi processi che si svolgeranno a breve nei confronti di alcuni prigionieri politici mapuche.
Le parole di Costalbano sono un invito a non abbassare la guardia su quanto succede in questa regione, nonostante il poco che ci viene raccontato sull’America Latina a volte sia poco meno che il paradiso. Un paradiso che se esistesse, i popoli originari probabilmente non sarebbero invitati.
Gustavo Claros
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