Australia, il brunch domenicale
Nella nostra piccola Italietta, spesso ci giunge voce di questo clamoroso e ipercalorico brunch che nella vicina Inghilterra miete vittime finesettimanali ormai da secoli. Già la parola al nostro orecchio non potrebbe assomigliare di più a un onomatopeico movimento di mandibole, un po’ come scrivere “gnam gnam” o “ciop ciop”. In realtà non è che un’inventiva unione delle parole “breakfast” e “lunch” (colazione e pranzo) per indicare appunto il mega pasto da sbafarsi la domenica quando ti svegli all’alba di mezzogiorno e il tuo orologio biologico non sa di cosa cibarsi. È sempre stato un gran dilemma anche in casa mia. Non mi ricordo nemmeno quante volte io e mio fratello abbiamo dovuto fare “veloce” e trangugiare chocopops e latte mentre mia madre ci impiattava davanti gli spaghetti allo scoglio. Un’accoppiata nauseante che sembrava non avere soluzione finché non mi sono trasferita in Australia, lasciando mia madre e le vongole nel Belpaese.
I Downunders, specialmente quelli che vivono in una grande metropoli come Sydney smaniano in modo maniacale per il brunch domenicale. Ho fatto pure la rima. Lavorando in un bar tutti i giorni a tempo pieno, mi sono resa conto che durante la settimana la colazione viene lasciata un po’ perdere, e si riduce ad un caffe preso take away al bar di fiducia e a volte ammazzato con un dolcetto: ciambella, beagle con philadelphia, muffin, cupcake, toast burro e marmellata o meglio burro e vegemite. Questo riesce a sostenerli in una mattinata di ufficio fino al pranzo, sempre take away, di pasta, panino, insalata o minestra. La cena poi è un tripudio di nazionalità, sia a domicilio che consumata direttamente al ristorante si concedono di sedersi e mangiare un pasto come Dio comanda. O per meglio dire come l’Italia comanda: seduti, insieme, a chiacchera.
Questa formula purtroppo quaggiù è applicabile solo il fine settimana quando svegliandosi a giornata iniziata, e aggiungerei ormai quasi finita, si prende armi e bagagli, progenie e cani vari, computer e appunti da rivedere oppure un paio di amici che la settimana lavorativa ci ha fatto sentire lontani e si parte in direzione della Pappa, con la maiuscola.
Sydney, come ho già largamente chiarito, pullula di posti dove rifarsi il palato, ma i cafè o bar come li si vuole chiamare sono quelli che in assoluto fanno milioni di dollari ogni weekend. I Sydneysiders ormai fanno quasi a gara a provarne uno nuovo ogni volta, a scovare i nuovi underground cafè, con i loro menu particolari, le pareti coperte di libri di seconda mano, e dipinti di qualche artista australiano sconosciuto ai più, o i grandi ed ecologici bar con fattoria annessa che crescono e coltivano tutto ma proprio tutto quello che ti finisce nel piatto e ne vanno così fieri che non te lo sto nemmeno a scrivere quanto.
Il menu alla fine non varia più di tanto, dal rustico al sofisticato i piatti sono sempre i soliti venti. Dalla saziante “big brekie” di uova, pane, bacon, funghi, avocado e spinaci agli amorevoli pancake con banana, frutti di bosco e miele, dal salutare muesli yogurt e frutta fresca al cheescake di cioccolato, dal beagle con burro e marmellata a quello “truccato” e salato, con salmone, insalata e formaggio fresco, insomma qualunque sia la taglia del tuo stomaco o la marca della tua lingua un piatto capace di tirare avanti la conversazione o finire il tema da consegnare lunedì lo trovi di sicuro e spesso trovi anche nuovi amici che ti attaccano bottone dicendoti che se al posto del burro, sul beagle ci metti la ricotta è la fine del mondo. Parola di papà Aussie in semi pigiama con bimba in braccio, spalmata di ricotta da capo a piedi. La fine del mondo.
Ilaria Casini
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