Da Bologna ad Istanbul in autostop
Belgrado situata nel punto d’incrocio tra il Danubio e il Sava, risulta spaccata in tre fette. Una di queste fette apparteneva all’antichissima Pannonia. Il clima che incontrammo nella “città bianca” non era dei più ospitali. Nonostante fosse primavera, la città conservava ancora un clima invernale con temperature abbastanza rigide. Met dovette prestarmi un altra felpa, io saggiamente ero partito con poche t-shirt e una giacca primaverile. Non a caso in inverno le minime nella capitale possono sfiorare i -30°C, ne è responsabile il “kosava” un vento freddissimo proveniente dai Carpazi.
Imbottigliato nella mia giacca primaverile attendevo con ansia la simpatica coppia che rispose alla mia richiesta di hosting. Erano circa le 20.00 di sera e spostammo l’appuntamento nella piazza principale dell’ex capitale della Jugoslavia. Una piazza vuota con al centro una statua di qualche leader serbo a cavallo. Con quel freddo non riuscivo nemmeno a pensare. Dusan e Ivana arrivarono con un abbondante mezz’ora di ritardo. Dusan, un ragazzo sulla trentina, appassionato di calcio a 5, lavorava presso una ditta che aggiustava apparecchi elettronici, nel tempo libero suonava la chitarra elettrica in un gruppo. Ivana è l’esatto opposto di Dusan, ordinata e responsabile, amichevole e gentile come poche, passava la maggior parte del tempo a offrirci cose da mangiare.
Su una vecchia “fiat Ritmo” facemmo un tour per le strade della città, con ancora le valige nel portabagagli la strana coppia ci scarrozzò in giro per il centro. Per la strada i due ragazzi ci mostrarono gli svariati edifici bombardati dalle forze dell’ONU durante la guerra di Jugoslavia del ’91. L’argomento toccava particolarmente Dusan, accusando i caschi blu di aver deturpato la capitale serba, la sua città bianca, una volta bellissima e prospera, adesso ancora masticata da una guerra mai terminata.
Per le strade di Beograd si respirava un aria tesa, la città era spesso soggetta a fenomeni criminali. Trascorremmo le successive 24 ore tranquillamente e pacificamente, senza spargimenti di sangue. Dopo una veloce visita alla chiesa ortodossa più grande del mondo e al teatro di Serbia decidemmo che era ora di assaggiare la cucina locale. Ivana ci portò in un ristorante tipico, la cameriera fortunatamente parlava italiano, potevamo ordinare le svariate tonalità di “burek” offerte dalla taverna serba. Assaggiai la “sarma” una specialità abbastanza diffusa nei Balcani. La cucina serba subì molteplici influenze dalla cucina mediterranea, molte pietanze si trovavano cucinate in modi differenti anche in Romania, Croazia, Bulgaria, Turchia e Grecia. Da bere io e Met dividemmo una tazza di Ayran, yogurt con cetrioli allungato con acqua.
Stremati, verso mezzanotte finalmente tornammo a casa. Un altro appartamento arredato “ikea”, due stanze e una cucina. Il divano in salone era nostro per la notte. La sveglia il giorno dopo avrebbe suonato alle 8 di nuovo. Oramai avevamo un ritmo di poche ore a notte, avremmo dormito una volta raggiunta Sofia, in Bulgaria. Li ci saremmo fermati un giorno intero per riprenderci fisicamente.
Il giorno dopo avevamo programmato un escursione turistica nel sud della Serbia, a Nis. Una ridente cittadina immersa nel deserto serbo. Internet la indicava come la città più ventosa del paese. Solo 240km di autostop dividevano le due città. Avevamo programmato di restare mezza giornata a Nis per poi ripartire subito per Sofia, in Bulgaria. In Serbia era abbastanza semplice trovare qualcuno disposto a darti un passaggio. Attendiamo meno di 10 minuti in una piazzola di sosta che un giornalista bulgaro ci da uno strappo quasi fino a destinazione, nel frattempo ci mise in guardia dal fare l’autostop in Bulgaria, sapevamo che non fosse un posto tranquillo, ma il giornalista ci stava spaventando. Ci consigliò di nascondere contanti e carte di credito nei calzini, di non addentrarci troppo nelle periferie delle città e soprattutto non andare nelle strade di campagne. La Bulgaria era uno dei paesi più poveri d’Europa, il tasso di criminalità era proporzionale al tasso di disoccupazione giovanile che affliggeva il paese. Il giornalista ci avvertì che per pochi euro erano disposti ad accoltellarti e le prede più ambite erano i turisti sprovveduti che barcollavano con gli zainoni da campeggio come noi.
In tarda mattinata arrivammo a Nis, una cittadina di circa 200.000 abitanti, attraversata dal fiume Nisava, era considerata la crocevia fra oriente e occidente. Nissa era una città antichissima con un alta concentrazione di studenti. Nelle poche ore a disposizione facemmo visita al mercato della città dove pranzammo. Un pranzo abbondante considerato il costo della vita in Serbia. Avevamo qualche moneta cambiata a Belgrado che ci permise di comprare un paio di panini, quattro birre, quattro pacchi di sigarette, una barretta di cioccolata, quattro banane e due arance. Il tutto con meno di 10 euro.
Ebbi uno strano incontro in un bar locale, una prostituta del posto mi presentò sua figlia. Una bella ragazza dai capelli scuri e occhi chiari. Me la presentò come la sua prima figlia, o forse l’unica. I metodi di comunicazione erano arrangiati. La madre era stata in Italia per qualche tempo quindi masticava qualche parola della mia lingua, l’anziano signore che l’accompagnava non credo fosse il padre della giovane ragazza. Mi ci volle un po’ per capire il succo del discorso, poi afferrai che per qualche centinaia di euro avrei avuto l’onore di sposare sua figlia e portarla in Italia con me, un affare.
Nel centro di Nis c’era un mercato locale dove era possibile trovare molti prodotti tipici del posto, il mercato era anche una pasticceria a cielo aperto, io e Met comprammo del “Palačinka” e del “Baklava” e una scorta di banane per il viaggio. A Nis non ci saremmo fermati più di qualche ora, quindi con gli zaini sulle spalle camminammo per tutta la cittadina alla ricerca di qualcosa di interessante da vedere. Le poche ore a disposizione ci permisero di scrutare solo il guscio della ventosa Nis, il resto lo vedemmo una volta a casa tramite google.
Finimmo di bere l’ultimo caffè in un bar nei pressi della stazione leggendo la cartina presa in prestito dal benzinaio di fianco. Solo 160 km ci dividevano da Sofia, la capitale della Bulgaria. Saremmo dovuti arrivare in tarda serata. In città ci aspettava un nostro amico, Stefano, in viaggio nell’Europa dell’est come “volontario del servizio civile internazionale”. Era quasi notte, il sole era tramontato da un po’. Io e Met, stremati prendemmo un autobus che ci avrebbe accompagnato in un anonimo quartiere ad est di Nis, da li poi avremmo allenato di nuovo il nostro pollice tenendolo alzato e aspettando che qualcuno si sarebbe fermato per portarci a Sofia, o almeno nelle immediate vicinanze.
Michele Rinaldi
(4. segue)
Leggi le precedenti puntate: