Istanbul dalla A alla Z, l'università
Üniversite- Università
Noi accademici siamo tutti una grande famiglia, ma a lavorare all’università in Turchia si ha l’impressione che la mamma sia sempre incinta. Ad Istanbul ci sono quattro rinomate, storiche università pubbliche (l’Universtità di Istanbul, l’Università Boğazici, il Politecnico di Istanbul, l’Università di Marmara). Negli ultimi quattro anni il numero complessivo di università è passato da 30 a 40. Alcune fondate su una solida base accademica, le più fondate su un’ottima idea commerciale, rivolte a una classe media in crescita e a un mercato del lavoro in espansione e giustificate dai pochi posti offerti dall’università pubblica. Ogni anno infatti quasi 500 mila ragazzi non passano il test per entrare in un’università statale: se hanno pazienza riprovano il test d’ammissione l’anno successivo, se hanno denari si iscrivono a un’univeristà privata.
Mi è capitato più volte di lavorare in questi esamifici: dopo un controllo di sicurezza all’entrata si aprivano padiglioni pensili, giardini fioriti, giardinieri indaffarati, studenti sovrappeso e studentesse sull’orlo dell’anoressia, caffè e bar più che biblioteche e aule studio. La mensa è più grande della biblioteca, vi sono più bagnini e massaggiatori nel centro di benessere che studenti nell’aula studio.
I docenti si riconoscono perchè non arrivano in Audi A4 ma in Opel Corsa, gli studenti per il motivo contrario. I presidi di Facoltà, che spesso hanno il solo merito di essere i figli disoccupati di qualche ricco padre o le mogli di qualche ricco marito, hanno uffici enormi, dove l’ospite più assiduo pare essere la segretaria che porta il te. In questa inflazione simbolica i rettori hanno auto con autista e targa diplomatica. Ogni università, nuova o tradizionale che sia, ha un’area di ritrovo sociale (Sosyal Tesisleri) riservata ai docenti e alle loro famiglie e aperta a volte ai dottorandi. Ho conosciuto un dottorando che ha voluto festeggiare lí il suo matrimonio tant’era bella la vista e grande il suo desiderio di entrare in questo eden, se non da dottorando almeno da sposo. L’esamificio dove ho dato qualche lezione possedeva anche un intero villaggio vacanze, aperto a tutti gli studenti che se lo potevano permettere. La reclam non nascondeva l’opportunità di venire in contatto con starlettes, ricchi e vips e moltiplicare così le chances per fare carriera.
Tutte le lezioni universitarie avvengono ufficialmente in una lingua straniera, per lo più l’inglese. Molte università di prestigio sono state fondate nel XIX secolo da stranieri interessati ad avere contatti con l’élite turca. Il discorso scientifico avveniva in lingue europee e i testi in turco erano rari. Oggi trovare una traduzione turca dell’Origine delle specie di Darwin o la teoria generativa di Chomky non è un problema e non ci sarebbe bisogno di questo servilismo culturale. Ciononostante rimane ufficialmente questo inutile orpello della lingua straniera con cui i docenti dovrebbero far lezione. Anche le nuove università private si imbellettano con questa vestigia di un’élite intellettuale ora assorbita nell’università di massa. Per prepararsi all’università ogni studente turco passa un anno in una classe preparatoria dove dovrebbe immergersi nell’inglese (o francese, tedesco, italiano) prima di iniziare ufficialmente il suo corso di studi. Ma per quanto immerso ne esce immacolato, parlando un inglese non migliore dei kebabbari di Istiklal Caddesi. I docenti, facendo buon viso a cattivo gioco, si adeguano: ufficialmente i corsi sono bilingui, turco-inglese, ma l’inglese resta solo sulla bacheca.
È uso del bazar che se il mio vicino fa buoni affari vendendo tappeti, provi a vendere tappeti anch’io. Meglio se giusto accanto a lui. Può essere che gli affari vadano bene, ma può anche essere che debba chiudere baracca, prima ancora che abbia imparato a venderli i tappeti. Così anche in queste università tirate su alla meglio in opulento stile selciucchide, con fontane con pennacchi arabeggianti o con pacchiani decori pseudo-ittiti, molte dovranno chiudre i battenti. Già adesso i professori devono scendere dalla cattedra per una settimana e andare nei licei a reclamizzare le meraviglie della loro università per reclutare loro stessi i futuri studenti. Dalle nuove matricole infatti dipende il loro stipendio.
Nicola Brocca
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