L'amore è una birra meravigliosa, anche a Lisbona
Arrivare a Lisbona avendo alle spalle una buona preparazione di libri letti, sostiene un mio amico, può essere un’idea buona come no. Una teoria un po’ “ad minchiam” direbbe un filosofo-allenatore deceduto, come dire che esiste l’unicorno bicornuto, può essere bene o può essere male, grazie ma lo sapevo anche da solo. Io propendo per la prima ipotesi, soprattutto se non vi potete fermare quel mese che la città meriterebbe. Ovvero cinque giorni per girare la città e altri venticinque per viverla, rigorosamente a ritmo loro.
Festina lente, dicevano i saggi antichi, e a Lisbona in fondo è più o meno così: l’affrettarsi a dirla tutta manca un po’, ma il lentamente rimane, in tutte le salse. Ma della città, almeno in questo racconto, ci interessa meno la storia: immaginatela con un immoto, sogghignante scenario di una storia d’amore di piena estate. Tutto nasce nel Bairro alto: è agosto, gli stranieri sono più dei portoghesi doc. Il barista ti consiglia la ginja, e tu in fondo non sai cos’è: inutile cercare di capire qualcosa dal suo sguardo, la poker face non lascia spazio ad interpretazioni, è un prendere o lasciare.
Poi vedi lui, che a Pessoa farebbe un baffo: inglese, tarchiato, età indefinibile dai 20 ai 30 anni, sicuramente in vacanza, alla ricerca dell’amore di una vita o di una notte. Sta ballando con una giraffa, una ragazza che potrebbe fargli colazione sulla testa, tanto è più alta di lui. Lui, imperterrito, tiene la parte: la t-shirt orribile (neanche io arriverei a tanto, penso) gli dà quell’espressione fra il mistico, il sensuale e lo sbronzo di birra. E ti viene da ridere: quell’umanità varia fatta di un inglese basso e sgraziato, imperterrito cavaliere di una donna che sembra nata apposta per ricordarle che in fondo, le gambe, possono crescere. In fondo chiunque farebbe il tifo per lui, sarà perché trova il tempo di spiegarti, in perfetto inglese, che la signorina in realtà era due giorni che l’addocchiava, seguendola di fatto in ogni pub, che è portoghese e potrebbe essere sì la donna della sua vita, che gli amici lo hanno abbandonato nella sua opera di inseguimento dandogli del matto, che “ vi offro una birra io, adoro l’Italia”.
Quando te ne esci proseguendo il tuo tour sei contento, pensi che l’amore esiste perché te lo ha insegnato quell’inglese. E quando, circa due ore dopo, monti in un tipico taxi portoghese dove il costo del viaggio è tanto basso quanto sono alte le chiacchiere del conducente, e ti fermi ad un semaforo, e vedi sotto una casa diroccata l’inglese in punta di piedi e mano-perno sul muro baciare appassionatamente la sua giraffa, devi ammettere – obtorto collo – che l’amore, sia pure frutto di qualche birra di troppo, è una cosa meravigliosa.
Enrico Albertini