To Melbourne (quanto grande è l'Australia)

Saint Kilda

 

L’Australia è grande.
“Scontato!”, Diranno i miei piccoli lettori.
“Sbagliato”, rispondo io, “è più grande di così”.

L’estensione dello spazio, o almeno la sua percezione, è inversamente proporzionale al numero di frazioni in cui esso è riducibile. Tipo, l’Europa: La Vecchia è sezionabile all’infinito: macro aree, stati, regioni, province, città, frazioni, etc… Achille non la raggiungerà mai la tartaruga, lì.
L’Australia invece è una grossa matassa di pochi fili, cose saltuarie disposte su uno spazio enorme.
A volte c’è ben poco di divisibile, se non ci si mette a contare i grabelli di sabbia del deserto.

E’ così che sulle mappe si trovano in grassetto nomi di villaggi di 300 anime e a punteggiare il ciglio di lunghe strade spuntano insegne di roadhouse, manco fossero città.
Si punta la lente su quel poco che c’è. Qui, davvero, ogni buco è trincea.

Questa – s’è già detto – è una nazione tanta e dispersa, chiunque ci viaggi presto o tardi lo scopre: ognuno ha la sua iniziazione prima o poi. Il mio battesimo del fuoco porta scritto sul biglietto: GOLD COAST-MELBOURNE.
Un’Italia e un po’, in un sol boccone. Ma non è cosa che realizzo lì per lì.

Inizia quindi un viaggio della speranza di 28 ore tra treni, cambi, bus e altri treni, attraversando la frontiera del Queensland, tagliando il New South Wales, sfiorando Sydney, valicando il Great Dividing Range e doppiando Canberra, per sfociare infine nello stato del Victoria. Pascoli e bushbush e pascoli, e stazioni ferroviarie che paiono uscite da una canzone di Johnny Cash. Attraversando lande dove il cellulare non vede una tacca per ore, ma poco importa, urgenza non c’è. Viaggiare, lo si impara presto, è anche saper interiorizzare l’apatia dell’attesa. E di attesa ce n’è a volontà lungo quei 1600 km, i piedi scalzi a contar passi su vagoni dai pavimenti rivestiti di moquette.

E infine Melbourne, la volubile.
A vedere se riusciamo ad amarci per un po’.

Eliano Ricci

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