La vera integrazione si fa a letto
A Perth si continua a girare, le persone entrano ed escono dal ristorante che gira, in poche ore si concentra un’umanità credo abbastanza rappresentativa, ma le mie sono solo impressioni, impressioni basate su un campione che però presuppongo rappresentativo. E alla fine quindi anche il matrimonio è stato celebrato, una noia mortale di celebrazione che eppure ha sancito l’affermazione sociale dei due sposi, i quali hanno regalato agli invitati la sensazione di essere parte di qualcosa, offrendo loro la vista del loro amore dall’alto dei 33 piani del grattacielo sul quale è situato il ristorante dove lavoro a Perth.
Tutto si è svolto in fretta e io ho potuto vedere per la prima volta il blu del mare, quello vero, non il palliativo sbiadito del fiume Swan che al confronto non possiede la stessa capacità di placare quell’indefinito nell’animo, e chissà se anche le persone presenti avranno colto la differenza, mentre ascoltavano i discorsi che si susseguivano tra una portata e l’altra, una noia resa ancora più mortifera dalla supposta ironia con la quale era tutto ammantato. Culture che si mischiano, diceva qualcuno che la vera integrazione si fa a letto. E stereotipi che resistono e altri che crollano: la cortese deferenza asiatica è un mito che sussiste solo quando non esistono rapporti gerarchici tra le persone.
La mia collega coreana vuole tornare a casa, mi dice che io sono nice nei suoi riguardi ma molti australiani don’t nei confronti degli asiatici in general, a meno che non partecipino a un matrimonio al 33 piano di un grattacielo, a meno che gli asiatici in questione non siano gli sposi e non abbiano già preventivamente sancito un altro tipo di ascesa, l’ascesa sociale infarcita di status symbol concreti e misurabili secondo il linguaggio a tutti più noto, e allora a loro si rivolgono bensì sorrisi, anche se il loro inglese continua ad essere spurio e traballante quando si avventurano in lunghi discorsi durante i quali mi perdo piuttosto nella contemplazione del mare da lassù.
Chissà se qualcuno si è divertito, alla fine. Boquet non ne sono stati lanciati, nessuno si è ubriacato a morte e nessun nuovo amore è nato durante un ballo sudato. Il tutto si è volatilizzato in tre ore scarse, con i tempi dopati del ristorante che già si preparava per la cena, prossimo giro prossima portata. E nessuna indolenza tipicamente mediterranea, anche se nella lista degli invitati avevo scorto un Francesco e una Clara, nessuna cintura sbottonata a celebrare il gargantuelico evento. Compattezza asiatica, di quelle più adatte ad affrontare il pragmatismo australiano: resiliente al punto giusto da adattarvisi e farlo proprio. Il pranzo è finito, andate in pace.
Alessandro Vignale
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