Il viaggio delle badanti – Da Trento a Chisinau in pullman alla scoperta di Moldavia e Transnistria
reportage e foto
di Mauro Buffa
(autore di “Sulla Transiberiana”, edizioni ediciclo)
La cameriera è efficiente e parla un discreto inglese, ma al mio tentativo di chiedere informazioni sul menù consultando un dizionario tascabile rumeno, dichiara di parlare solo russo e di non conoscere any single word in quella lingua.
E’ un paese contraddittorio la Moldavia a partire dalla sua composizione etnica con un 60 per cento di cittadini di lingua rumena, 17 per cento russi e 14 per cento ucraini e qualche altra minoranza turcofona oltre ai 3000 ebrei, rimasti dopo la decimazione nazista nella seconda guerra mondiale. Una situazione ereditata dall’appartenenza all’URSS dalla quale si è resa indipendente nel 1991.
Prima del collasso dell’Unione Sovietica quasi nessuno in occidente era a conoscenza dell’esistenza di questa regione che pure vanta una storia antica, ma oggi, un milione di cittadini moldavi su un totale di poco più di quattro, in prevalenza donne, vivono all’estero e molte di loro in Italia, principalmente nelle regioni del nord, dove si prendono cura dei nostri anziani. Il desiderio di conoscere direttamente questo paese lontano più di duemila chilometri dai nostri confini ma pur sempre europeo, mi ha spinto a intraprendere un difficile viaggio via terra da Trento a Chisinau, capitale della Moldavia. Ho voluto fare, insieme a un vecchio amico col quale, in passato, ho girato l’Europa in bicicletta, lo stesso tragitto dei cittadini moldavi che tornano a casa in pullman per risparmiare. Un’occasione per capire cosa significhi, oggi, essere emigranti.
Il biglietto costa ottanta euro e lo prenoto al telefono in maniera del tutto informale. “Ti chiamerò il giorno prima per dirti l’ora della partenza” mi comunica la voce dall’altra parte in un italiano poco chiaro.
La telefonata arriva il pomeriggio precedente alla partenza, “Domani alle nove”. Niente altro. Nel frattempo, tramite un contatto in Moldavia, abbiamo prenotato per email una stanza in un hotel di Chisinau e i biglietti dell’ aereo per il ritorno tra una settimana.
La mattina del venerdì santo ci presentiamo puntuali, ma al parcheggio non c’è nessuno. Dopo un quarto d’ora arriva una chiamata. Questa volta è una voce di donna “Il pullman è per strada, aspettate” dice. E infatti arriva. L’autista si chiama Valentin e non parla italiano, né inglese. Non c’è possibilità di comunicare, ma poco importa, parte subito e in due ore siamo a Padova, dove attendiamo in un parcheggio alla periferia est della città. Arrivano alla spicciolata altre persone, in maggioranza donne con scatoloni di cartone sigillati. Facciamo la conoscenza di Vasile, ventiquattro anni, vive a Padova da quattro, parla sciolto e si direbbe bene integrato. “Mi trovo bene qui” dice “ ma sono stufo e voglio tornare a vivere in Moldavia.”
Attendiamo un’ora e finalmente arriva il pullman, proveniente da Parma. E’ pieno per metà. Valentin e l’autista del pullman si alterneranno alla guida nelle prossime ore. Il tempo stimato è di trentadue ore, ma la durata effettiva dipenderà dai controlli alle frontiere, ci dicono. Ancora non si va perché c’è da pesare i pacchi per i quali è previsto un sovrapprezzo. Finalmente le operazioni si concludono e tutti salgono a bordo. Ci sistemiamo in fondo con Vasile e un altro ragazzo simpatico, Gheorghe.
L’ultima fila è riservata agli autisti che, con due coperte e un cuscino, hanno ricavato quello che a me sembra un ampio e comodo letto. Mi guardo intorno e constato che c’è spazio sufficiente per stendersi tra i sedili, bene non sarà così dura, soprattutto stanotte, ma mi sbaglio perché fino a Venezia saliranno altre persone che andranno a riempire i posti vuoti. Siamo una quarantina, ci sono anche due bambini di quattro e sei anni, hanno passaporto moldavo ma parlano in italiano, sono pazienti e educati. Non li sentirò mai lamentarsi tranne la piccola che farà un po’ di storie prima di andare “a letto”.
Solo ora il pullman comincia a filare lungo l’autostrada e in poco raggiunge la frontiera con la Slovenia a Gorizia. Le colline slovene con i loro paesini lindi offrono l’immagine armoniosa, di un paese da operetta. La ragazza al mio fianco si collega via skype con la Moldavia e gira lo schermo del computer verso il finestrino per far vedere il paesaggio. Con l’oscurità entriamo in Ungheria, peccato non vedere niente se non un modernissimo autogrill dove accettano anche gli euro e insieme agli autisti mi concedo una squisita gulaschsuppe. Si riparte. E’ notte fonda quando l’automezzo si ferma. Salgono i doganieri rumeni che raccolgono i passaporti. Il controllo è poco più che routine e ci lasciano andare quasi subito. Mi sono ricavato un precario giaciglio tra due sedili, spostando un paio di borse e riesco a sonnecchiare finché la luce del giorno non invade l’abitacolo. Sono anchilosato e dolorante, getto un’occhiata al mio amico che sta ancora dormendo rannicchiato su due soli sedili. A poco a poco tutti si svegliano. Nessuno si lamenta, la sola richiesta è di una sosta per andare in bagno. Non siamo più in autostrada, la Transilvania ci offre uno spettacolo di rara bellezza. Sui pali della luce davanti alle casette a un piano, le cicogne hanno fatto il nido. Sono uccelli eleganti che vivono in simbiosi con l’uomo, i loro nidi sono enormi, volano sui tetti delle case e vederle è uno spettacolo.
Il pullman ora si arrampica sui monti Carpazi, la strada è ampia e priva di traffico. Scolliniamo e dall’altra parte si estende una pianura punteggiata da villaggi con i crocefissi in legno dipinto davanti alle case.
Nel primo pomeriggio arriviamo alla frontiera con la Moldavia ed è proprio qui, sulla porta di casa, che insorgono i problemi. Le guardie di confine ordinano di svuotare il bagagliaio. Alcuni protestano, altri sorridono ironicamente. Quando tutti i pacchi sono disposti sul piazzale della dogana, inizia l’ispezione a campione. Vado a curiosare. Ogni scatolone contiene le stesse cose. Vestiti, scarpe e colombe pasquali. Il doganiere dopo un po’ si stufa e con un gesto annoiato fa segno di caricare. Ci ridanno i passaporti. Risaliamo sul pullman e finalmente entriamo in Moldavia. A bordo l’atmosfera è distesa, tutti sentono l’aria di casa. La strada è in pessime condizioni, il fondo è consumato. Vedo un paesaggio rurale dal sapore un po’ antico con i pozzi per attingere l’acqua davanti alle case e i carretti trainati dai cavalli. La stagione è un po’ indietro rispetto alla partenza, ma gli alberi sono in fiore e il quadretto è indubbiamente suggestivo. Ora il pullman si ferma spesso e fa scendere i passeggeri arrivati a destinazione. Saluti, abbracci e un arrivederci a presto. Per molti la vacanza durerà una sola settimana. Siamo rimasti in dieci quando, nel tardo pomeriggio del secondo girono di viaggio, arriviamo a Chisinau, capitale della Repubblica Moldova. Il viaggio è durato trentasei ore.
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L’hotel Cosmos è un grande edificio di ventidue piani di epoca sovietica. E’ semivuoto, ma perfetto per le nostre esigenze, non troppo caro, quaranta euro a notte a testa con prima colazione e a ridosso del centro, in modo che ogni punto di interesse è raggiungibile a piedi. Non ha un vero centro storico questa città rasa al suolo dai tedeschi e ricostruita come gran parte delle città sovietiche. Il suo centro è composto da enormi edifici d’epoca e nuovi palazzi che la rendono del tutto simile a ogni altra città europea. Che siamo a est dove la storia ha avuto uno sviluppo diverso dal nostro, lo si vede principalmente dai monumenti celebrativi della seconda guerra mondiale e in particolare dal memoriale Eternitate dove arde la fiamma perenne e avviene ancora il cambio della guardia con il passo dell’oca.
Quest’anno la Pasqua ortodossa coincide, per caso, con quella cattolica. La trascorriamo ospiti di amici moldavi conosciuti in Italia. Il pranzo pasquale è ricco e appetitoso, carne di pollo, pesce affumicato e le verdure, tra cui la singolare anguria sottaceto dall’aspro sapore di cetriolo e poi i vini, i dolci e il cognac di produzione locale. Intorno alla tavola imbandita si parlano quattro lingue: rumeno, italiano, inglese e russo. Inevitabili i commenti sulla situazione politica attuale in Italia e sugli eccessi del premier. Interessante il punto di vista sulla grande svolta del ’91, c’era una Moldavia, repubblica socialista sovietica, che dava poco a tutti e non faceva mancare il necessario e una Moldavia democratica e indipendente che ha fatto emigrare un quarto della popolazione. Quale preferire? La signora Ana, ottantacinque anni portati magnificamente in un paese dove l’aspettativa di vita, per le donne, non va oltre i settantacinque, non ha dubbi. Era meglio l’URSS con le sue rigidità e le sue certezze. Ce lo dice in russo che, per lei è la lingua internazionale, consapevole che non capiamo il rumeno, ma le uniche parole che afferro sono: Molotov, Von Ribbentropp e ukaze. Interviene la figlia Tamara che traduce in perfetto inglese e così i tasselli della storia dell’ultimo mezzo secolo vanno al loro posto.
A spasso per Chisinau nei giorni seguenti, in visita al museo di storia nazionale dove all’ingresso su una statua della lupa che allatta Romolo e Remo, si dichiara, con le parole del poeta nazionale Mihai Eminescu, l’appartenenza di questa terra al mondo latino, tanto più ora che l’alfabeto cirillico imposto dai russi è stato abolito a favore di quello originario.
Ma la vera anima di questo paese è la campagna. Su una superficie grande circa come la Lombardia, si estendono campi coltivati e soprattutto vigneti. Il prodotto di eccellenza è il vino delle cantine di Cricova, una incredibile costruzione sotterranea con uno sviluppo di strade di quasi cento chilometri dove vengono prodotti e fatti maturare vini bianchi, rossi e champagne. Il mercato di riferimento è, ora come allora, quello russo, ma una percentuale minore viene esportata anche nel resto del mondo. La cantina di Cricova, visitabile con un trenino e a patto di coprirsi perché la temperatura interna è tra i 10 e 12 gradi, riserva anche la sorpresa di ammirare la collezione privata di vini che appartenne al Feldmaresciallo del Terzo Reich Hermann Goering e che fu sequestrata dall’Armata Rossa e qui collocata e quella meno impolverata del primo ministro russo Putin che ne attinge per il suo uso personale.
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La maggiore curiosità di un viaggio in Moldavia è costituita tuttavia dalla regione separatista della Transnistria che si considera uno stato sovrano. Prima della proclamazione dell’indipendenza, la Moldavia ha subito il trauma della guerra civile che ha portato alla nascita della Repubblica di Transnistria, ovvero la striscia di territorio a est del fiume Dniestr che forma oggi uno “stato” non riconosciuto dalla comunità internazionale che si regge su ogni sorta di traffici.
Attraverso un’agenzia di viaggi a Chisinau affittiamo un’auto con autista. Ci garantiscono che la zona è pacificata e che si può visitarla anche se solo per un giorno. L’autista si chiama Anatoli, parla solo rumeno e russo, ma è cordiale e si fa capire abbastanza bene. Ci accordiamo per il mattino seguente alle otto e trenta al costo di ottanta euro, tutto compreso.
La strada che porta al confine è priva di traffico, c’è solo un Suv davanti a noi. Il confine moldavo è presto superato senza troppe formalità. Attraversiamo la zona smilitarizzata sotto il controllo delle truppe dell’ONU, sono soldati dell’esercito russo armati di kalashnikov. Sebbene si proceda a passo d’uomo attraverso cavalletti di filo spinato e blocchi di cemento, non notiamo alcuna tensione, piuttosto la noia dei soldati di un avamposto di frontiera dove non succede nulla da anni, ma da presidiare comunque. Eccoci al confine della Transnistria.
Le guardie controllano perplesse i nostri passaporti e chiedono a Anatoli chi siamo e dove vogliamo andare. Gli sento dire la parola: escursione. Ci fanno aprire il bagaglio ma non i nostri zainetti, infine ci fanno compilare dei moduli e ci consegnano un permesso di ingresso valevole fino alle 19,40 dello stesso giorno. Passiamo. Attraversiamo la città sul confine, Bender, immortalata nel romanzo di Nicolai Lilin, Educazione siberiana. Le strade sono amplissime e deserte.
Ci siamo quasi solo noi su quattro corsie. Dopo mezz’ora appare la periferia di Tiraspol, la capitale a cento chilometri da Odessa, Ucraina, dove regna il padre padrone Igor Smirnov che ha mantenuto i simboli del comunismo e applicato le regole del capitalismo selvaggio. Cosicché tra marmi di Lenin, bandiere con la falce e martello e i curiosi rubli della Transnistria che non valgono niente, girano Mercedes nuove di zecca e si notano i negozi della catena di supermercati Sheriff di proprietà dello stesso Smirnov. In mezzo a tutto questo, una popolazione, soprattutto anziana, impoverita e militari in tuta mimetica che spuntano da ogni angolo, quasi la città fosse una grande caserma.
Non c’è molto da fare a Tiraspol se non osservare questo strano “stato”, un prodotto di scarto della frammentazione dell’impero sovietico, che però, se esiste, deve essere funzionale a qualche interesse.
L’indomani si torna a casa, questa volta in aereo. Ci sono solo due ore e mezza di volo dal piccolo e moderno aeroporto di Chisinau a Verona. Le distanze sono annullate e la Moldavia appare più prossima all’Europa occidentale alla quale si sta rapidamente avvicinando attraverso i suoi cittadini lavoratori.